YAYOI KUSAMA | 2 MINUTI DI...
“Decisi che fino alla morte avrei continuato ad esprimere ciò in cui credevo, che avrei dedicato la mia vita a tradurre in arte le mie idee […] che non mi sarei mai lasciata sconfortare dalle sofferenze.[…] L’arte è la mia fede.”

É una vera sfida parlare di un’artista come Yayoi Kusama in soli due minuti. Credo però che valga la pena destare quanto
meno la curiosità nei confronti di una donna che in Italia é conosciuta quasi esclusivamente dagli esperti del settore.
Nata a Nagano nel lontano 1929, Kusama ha sempre esposto sé stessa insieme al suo modo di vedere il mondo, conquistandosi un posto tra le artiste più quotate, richieste e prolifiche nella storia dell'arte.
La sua produzione ha saputo resistere incrollabile al tempo, ai cambiamenti sociali, al progresso tecnologico.
La sua storia inizia prima della celebrità che è oggi, una storia spesso difficile, fatta di sacrifici e momenti di debolezza psicologica. Ha intessuto relazioni con molti artisti, tra cui Geogia O’Keefe, Lucio Fontana, Andy Warhol, Claes Oldenburg, influenzando a sua volta lo sviluppo di diverse correnti artistiche tra cui il minimalismo, la pop art, la performance e persino l’arte installativa.
Yayoi si trasferisce dal Giappone rurale alla metropoli newyorkese nel 1958, un ambiente in cui le gallerie d’arte cominciavano a dare spazio soprattutto all’espressionismo astratto mosso da Pollock.
Donna orientale in un mondo patriarcale e bianco, Kusama si dimostra fin da subito forte del suo amore incondizionato e salvifico per l’arte.
Il corpus dei suoi lavori comprende disegni, dipinti, sculture, ambienti, persino romanzi e poesie, ma anche l’immagine fotografica, che fa parte a tutti gli effetti della sua espressione artistica, in quanto testimonia la sua totale vicinanza all’opera.

Oggi, all’età di 91 anni e volontariamente residente nell’ospedale psichiatrico Seiwa di Tokyo, Kusama esprime ancora la sua volontà di emergere, di essere nel mondo, pur dovendone stare ai margini.
La sua forza mediatica è rimasta intatta; dagli anni 2000 ha ottenuto un successo globale, con un record d’asta di $8 milioni (ottenuto da una tela della serie Infinity Net); è stata la prima donna a rappresentare il Giappone alla Biennale di Venezia (1993); si è affermata con mostre personali e retrospettive che hanno registrato milioni di visitatori.

Nel 2019 si è conquistata l’ottava posizione come Much-Instagrammed Blockbuster artist. Di questo si può dare il merito alle sue opere installative più note e amate: le Infinity Mirror Room, create a partire da Phalli’s Field (1965) e Peep Show (1966) fino alla più recente The souls of Millions of Light Years Away (2013).
Le mirrored room, ambienti immersivi che incoraggiano un’esperienza totale, si compongono di luci, colori e specchi, in cui noi stessi
“continuiamo a lampeggiare, a scomparire, e di nuovo a fiorire in questa eternità”.

Il suo lavoro è spesso accostato alle immagini sul web, ai suoi elementi ripetitivi: i dots, le zucche, il fallo.
In pochi sanno che l’universo rappresentato da Kusama è emanazione delle sue paure, tentativo di esorcizzarle, in altri casi riflesso delle sue allucinazioni, della sua forza creatrice. Kusama desidera un'arte individuale e globale, che si adatta ogni volta al tempo presente, perché profondamente umana.
Un’arte autenticamente e sempre contemporanea.
Articolo di Rachele Bettinelli