NECROLOGIO DELLA BELLEZZA | ARTE E ATTUALITA'
Pandemia o destino, il lungo anno che abbiamo alle spalle ci ha fatto sentire ancora di più il vuoto lasciato da figure dispensatrici di bellezza. E con bellezza non mi riferisco a nessun paradigma o canone estetico-artistico, ma un sentire profondo delle cose della vita che alcune persone sono in grado di donare al mondo.
Come il filo d’erba di cui parla Franco Battiato (1945-2021) in Haiku, anche lui si è inchinato, per l’ultima volta, alla brezza di maggio, o alle sue intemperie.
In silenzio e solitudine da tempo, probabilmente é sempre appartenuto ad altri mondi, pur parlando a noi che abitiamo questo qui. Ha cantato di amori, del tempo, di rabbia e di gioia; ma la sua voce ci ha evocato un’atmosfera estranea al materialismo, ha indagato una profondità purissima, anche con l’ironia.
Com’è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire, diceva, ma chi più di lui ha saputo farlo, devolvendo la sua vita ad una ricerca di natura spirituale ed umana, prima che artistica.
Per lui le belle persone sono le persone evolute, ossia quelle che nella vita si dedicano ad un cammino personale, fatto di scelte sì, ma anche di autoanalisi, di conoscenza nei confronti di ciò che si é e che si vorrebbe essere. Questo perché quando uno dovrà dare conto del proprio operato non potrà dire: “io sono stato cattolico, o buddista, o musulmano, ma io sono stato quello che sono stato”. Sono certa che lui sarà stato abbastanza per godersi qualunque cosa ci sarà aldilà. E se é vero che nulla si crea, né si distrugge, ma tutto si trasforma e che la luce sta nell'essere luminosi, Franco continuerà a irraggiare il cosmo intero, a tornare, ancora.

Franco Battiato insieme alla cantante Milva, anche lei da poco scomparsa
Così come altri due grandi fari per l’arte, Lea Vergine (1936-2020) ed Enzo Mari (1932-2020), insieme anche alla fine della loro vita terrena, all’inizio di quella eterna. Perché nessuno potrà dimenticarsi della bellezza inquieta e difficile di Lea, della sua Napoli, della sigaretta da cui non riusciva a separarsi.
Come critica e curatrice, fuori dalle logiche meschine del mercato, senza filtri, ha sempre difeso con lucida severità l’arte più autentica, quella che si confronta con il mondo e non si nasconde dietro a privilegi elitari. Secondo lei: "l'arte, quella vera, si nutre di follie insondabili e di sofferenze e dolori profondissimi".

Lea Vergine e Enzo Mari. Ph. Giuseppe Varchetta
E in tutto questo c’era un punto fermo. Enzo Mari, la sua pietra, indispensabile, su cui però non si dilungava in chiacchiere, come a preservarne l’unicità. Burbero e non certo accondiscendente, Mari ha iniziato con l’arte cinetica ed è approdato al design, mantenendo viva l’idea di una pratica sociale coscienziosa e consapevole. Si é sempre preoccupato di definire la ragion d’essere dei suoi progetti, per poi indicare come ottimo designer un vecchio povero contadino che pianta un bosco di castagni.

Enzo Mari, Qualche puntino sulle ‘i’, 2011-2012, Collezione privata. Courtesy Triennale Milano
La stessa convinzione che l’arte debba coinvolgere le persone, apparteneva ad Ezio Bosso (1971-2020). Ha saputo dimostrare che l’arte e la bellezza possono cambiare il mondo, o almeno renderlo più amabile. L’entusiasmo di chi nella vita ha perso tanto, ma sa che niente e nessuno ha il potere di definire l’anima, le passioni, i sogni di un altro. Ha sempre creduto nella fatica, Ezio, quella che ti fa sentire vivo, che ti avvicina agli altri. Ma soprattutto ha sempre amato l’umiltà, quella che fa diventare davvero grandi. Grande lo è stato per davvero anche Ennio Morricone (1929-2020). Con la sua musica ha accompagnato gesti e volti di pellicole che continueremo ad amare e che resteranno come traccia indelebile del suo amore per il cinema, per la musica, per la creatività degli esseri umani.
Ma uscendo di scena, nel necrologio che si è scritto da sé, ha detto di non voler far troppo rumore, ha preferito non disturbare. Genialità e popolarità hanno fatto spazio all’addio più doloroso per lui, quello alla moglie; la conferma che la bellezza trae forza dagli affetti più veri, dalla vicinanza, da altra bellezza.
Vicinanza, è quel che ho sempre provato davanti ad un’opera di Christo (1935-2020). L’ultimo di questo necrologio, anche se gli esempi di umana bellezza non sono destinati a finire, è l’artista che ha portato l’arte ad una dimensione collettiva, legata al nostro essere nel mondo. Insieme alla moglie Jeanne-Claude, con la quale collaborava dal 1961, Christo ci ha permesso di esistere in spazi da lui immaginati e creati, mai chiusi e impraticabili: gli stessi luoghi che ci circondano, di cui facciamo parte ma che spesso diamo per scontati, non li guardiamo veramente.

Christo e Jeanne-Claude guardano il progetto Valley Curtain appena terminato, 1972, Colorado, © Christo © J. Paul Getty Trust
Un lavoro pubblico, nomade, di profonda libertà perché non ha altri proprietari, ambientale:
“Quando esci dal tuo guscio attraversi la strada, ti esponi al mondo e vedi alberi impacchettati o chilometri di tessuto che si snodano per la California, sei in uno spazio che include ogni cosa: il vento, le macchine, gli uomini, gli animali.
Non sei preparato, non hai deciso di entrare in una galleria, c’è stato un incontro.
Questa è la nostra arte: non illustrazione, ma pura esistenza”.
Non si può essere che grati a queste esistenze speciali, una conferma immortale che la bellezza abbraccia l’umiltà, la vicinanza, la cura, l’impegno e la consapevolezza di ognuno.
E ne abbiamo bisogno, più che mai.