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LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE - ARTE E CINEMA


“Nella storia originale per esempio, la Principessa chiede ai cinque pretendenti di portarle indietro qualcosa che solo chi conosce i classici di letteratura cinesi potrebbe capire. […] Ma nel film, quello che ho fatto è stato farle dire: - Beh, mi avete lodato con tutte queste metafore o similitudini. Allora portatemi quel qualcosa che, secondo voi, ha il mio valore. - Lei si sta ribellando contro l'essere oggettificata dai pretendenti.

E questa è una sensibilità molto moderna.

Isao Takahata sul film La storia della Principessa Splendente


La storia della Principessa Splendente (2013) è l’ultimo capolavoro di Isao Takahata, uno dei fondatori dello Studio Ghibli e già alla regia dell’indimenticabile Una tomba per le lucciole (1988).

Questo lungometraggio d’animazione si basa sull’antico Taketori Monogatari, Storia di un tagliatore di bambù, anonimo risalente al X secolo circa e riconosciuto come tra i testi popolari più noti in Giappone. Si racconta di un anziano tagliatore di bambù che trova, all’interno dei fusti della sua amata pianta, una bambina così piccola da poter essere racchiusa in una mano. Portatala a casa, decide con la moglie di crescerla come fosse una figlia. La bambina cresce velocemente, al ritmo di una pianta, e per questo viene soprannominata Gemma di bambù.



La sua felicità si manifesta fin da subito nella semplicità delle cose, nell’armonia con la natura, in una vita autentica fatta di legami sinceri e quotidiani dispiaceri, ma il suo destino è quello della regalità.

Il tagliatore di bambù si rende conto che quel tipo di esistenza non fa per lei; vuole di più per la sua Principessa e decide di trasferirsi in città. Catapultata in un palazzo e attorniata dalla servitù, la principessa deve ora seguire le norme e i comportamenti che ci si aspetta da una nobile; educata severamente ai costumi e alle responsabilità, dovrà diventare una donna elegante e, soprattutto, una sposa devota.



Principessa si troverà vittima della sua bellezza e condizione, rimpiangendo la magia precedente, e la sua origine lunare, sostituite da una vita vuota e monotona, fatta di formalità e apparenze.

Candidato all’Oscar 2015 come miglior film d’animazione, la pellicola è notevole innanzitutto per le tecniche di realizzazione. E con tecniche non si intendono qualità verificabili dai soli esperti del settore, ma si indicano la delicatezza e la straordinaria attenzione estetica ad ogni particolare, in ogni scena, nello scorrere della storia. Indubbiamente ispirate alla pittura degli emakimono di periodo Heian (VIII-XII sec.), le linee in continuo movimento sono evanescenti, le tinte tenui e acquarellate, gli elementi del paesaggio spesso solo accennati, ma visivamente immersivi.



Il motivo principale per cui Isao Takahata ci lascia un testamento di inestimabile valore risiede nel suo intento, si può dire riuscito, di rendere attuale una storia così antica. Il film incarna una tradizione che possiede insegnamenti per l’uomo di oggi e un cinema d’animazione che ha la capacità di trasmetterli.

Come accade spesso nella tradizione giapponese e anche nelle sceneggiature dello Studio Ghibli, il rapporto tra l’uomo e la natura è centrale. In questo caso questo rapporto è di natura interiore, il conflitto personale tra dovere e volontà.

«Ma io come mai, a quale scopo ero discesa su questa terra?», si chiede Principessa, rimpiangendo i campi e la vita accanto ai contadini, uomini poveri materialmente ma disposti a trattarla da essere umano.

Quale cammino l’uomo deve intraprendere per raggiungere la felicità? Difficilmente quello dei pretendenti di Principessa, o del padre, che a tutti i costi vuole darle una vita di ricchezze ostentate e affetti inconsistenti. Attraverso una critica alla superficialità del mondo, la storia che ci viene raccontata eleva il semplice, la bellezza delle piccole cose, la natura e il suo potere, quello che l’uomo rinnega nel suo inevitabile passaggio all’adultità.


Principessa ricorda l’infanzia con sofferta malinconia e la rimpiange, non trova conforto nemmeno nei tessuti preziosi dei kimono. Non trae soddisfazione dall’essere esibita, desiderata da uomini potenti e per questo in una delle sequenze più suggestive e strazianti corre senza sosta nella notte, fino quasi a confondersi nel buio, a dissolversi e scomparire.

Noi invece non abbiamo la possibilità di fuggire da questo mondo; Principessa ci consiglierebbe di imparare a lasciar andare le cose che ci fanno sentire prigionieri, impossibilitati ad esprimere quello che siamo. Ciò non significa evitare le regole, i buoni principi, piuttosto inseguire la nostra realizzazione in modo coerente a ciò che siamo, alla nostra essenza più pura, alle cose che ci fanno battere il cuore.

Bisogna dire che La storia della Principessa Splendente non è un film per tutti, al contrario di quello che sappiamo sulle fiabe o che ci si aspetta dall’animazione, ma è certamente per coloro che sono disposti a vivere la nostalgia, il sogno ad acquarello e carboncino, la riflessione sulle costrizioni della vita e sul suo incessante andare.

Un ritmo lento, di stampo fortemente orientale, che richiede la volontà di lasciarsi trasportare dai colori, più che dalla narrativa, dai valori etici ed estetici di un mondo diverso, eppure così profondamente uguale nelle sue contraddizioni, al nostro.



*Disponibile in streaming sulla piattaforma Netflix.


 

Articolo di Rachele Bettinelli

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