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GLI OGGETTI | NELL'ARTE

Un orinatoio smontato ed esposto agli occhi di critici illustri e gente comune. Fu così che nel 1917

Duchamp firmò l’opera che avrebbe generato una frattura nel mondo dell’arte. Il gesto semplice dal significato complicato dell’artista dadaista aveva sconvolto la metodologia del fare e del giudicare l’arte, l’atto creativo poteva prescindere dalla messa in vita di forme e colori, l’opera poteva essere un oggetto trovato, scelto o casualmente ripescato nell’ovvio.

Serve poca immaginazione per immedesimarsi nelle reazioni del pubblico dell’epoca di fronte a Fontana. L’orinatoio comunemente associato ad un bisogno fisiologico padroneggiava la scena obbligando i presenti a riflettere sul senso ed a subire fascino, fastidio e provocazione. Dagli inizi del ‘900 con i primi movimenti di Avanguardia Europea la logica artistica era ricusare la logica, ammaliando spettatori, critici e artisti stessi, obbligandoli a ripensare il senso profondo dell’opera.



La deconestualizzazione dell’oggetto come rivelazione di un significato venne accolta dall’artista Piero Manzoni che nel 1961 realizzò "Merda d’artista". Un’opera-scarto, 90 barattoli sigillati e firmati con il suo nome, dal valore pari al prezzo dell’oro in quegli anni. All’artista tutti era concesso, anche inscatolare escrementi.



Ancora nella seconda metà del Novecento tra i maestri della provocazione Andy Warhol. Nella sua carriera si servì di molteplici mezzi per analizzare e dare spazio alla dimensione popolare. Pittura, serigrafia e cinema erano tecniche che investigavano e presentavano al pubblico, agli spettatori oggetti-soggetti noti ma rivalorizzati. Nel 1982 Jorgen Leth riprese Warhol mentre mangiava un hamburger. Scena semplice, essenziale nella tecnica, la macchina da presa inquadra il soggetto e l’oggetto che lentamente viene consumato. Un hamburger cheap, alimento popolare ed accessibile, scelto e sostenuto dalla mani di un artista. Duchamp e Manzoni lasciarono alla loro firma il compito di creare valore all’oggetto rivenuto, Warhol scelse di partecipare alla scena.



Oggi Maurizio Cattelan ripercorrendo la sua carriera e la storia dell’arte ha presentato all’Art Basel di Miami l’opera "Comedian". Nel 1999 con A perfect day servendosi di nastro di scotch grigio aveva appeso alla parete il suo gallerista Massimo De Carlo, realizzando una crocifissione laica, da molti intesa come protesta rivolta all’assenza di arte nel mondo dell’arte.



A distanza di anni Cattelan riscopre il nastro grigio per fissare al muro una banana.

Decontestualizzazione e provocazione si palesano nuovamente di fronte agli occhi degli spettatori,

offrendogli un universo di reazione possibili. L’opera, infatti, esplode. Copie e frammenti scorrono

tra pagine di quotidiani, riviste d’arte e social. L’oggetto appeso interessa, disinteressa, affascina,

infastidisce. Qualcuno si cimenta nella sua riproduzione, la banana lascia posto ad altri elementi,

trasformando l’idea di Cattelan in un’ottima trovata pubblicitaria. Dal Novecento ad oggi, nel

silenzio del suo studio l’artista produce opere-oggetti-concetti. Serve a nulla chiederci quale sia il

limite dell’arte, fino a dove l’artista si può spingere nel creare o distruggere. La sua idea non fa

rumore, eppure il suo eco lo sentiamo ovunque.


Martina Cambareri.

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